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Michael Spyres: un tenore viaggiatore nel tempo



Michael Spyres è a tutt’oggi il modello di cantante “ricercatore” impegnato audacemente nell’indagine nell’ambito dell’estensione vocale e  delle variabili timbriche che riguardano il registro tenorile. Il tenore americano, nato a Mansfield, Missouri, nel 1979 sta esplorando mirabilmente tutte le possibilità canore che la voce acuta maschile ha conferito alla storia dell’interpretazione lirica, dall’epoca barocca fino al tardo Ottocento, arrivando non solo a interpretare ruoli Heldentenor – su tutti Tristan – ma addirittura a cantarli sul palco wagneriano per eccellenza. Ciò accadrà ai Festspiele di Bayreuth di quest’anno per i quali Spyres canterà nientemeno che il ruolo di Siegmund nella Valchiria.


Spyres nato artisticamente come grande interprete rossiniano, sulla scia dei grandi baritenori della Rossini-Renaissance, su tutti Chris Merritt, si è via via spostato sul repertorio francese del Grand-Opéra per poi iniziare un lungo viaggio nel tempo che lo ha portato a sperimentare le innumerevoli possibilità offerte dalla sua mirabile vocalità. Un peregrinare dalle arie di Lully a quelle di Rameau fino al barocco di Handel, passando per la scuola napoletana di Leonardo Vinci, Sarro, Porpora e Piccinni, il bolognese Mazzoni, Hasse, Vivaldi e il dimenticato Gaetano Latilla. Ovviamente il tenore americano non poteva non attraversare Mozart e il Fidelio beethoveniano per poi affrontare i campioni del belcanto italiano Donizetti (soprattutto le opere francesi) e Bellini. Spyres in realtà non si ferma al primo Ottocento e si prodiga in una cavalcata di arie baritonali e tenorili che giungono fino a Die tote Stadt di Korngold (il cui protagonista Paul fu interpretato da Richard Schubert, tenore wagneriano nato artisticamente come baritono). 


Come si può desumere dalle sue incisioni, Spyres è un rarissimo esempio di cantante sperimentatore, mai statico non solo nella scelta del repertorio ma anche nella stabilizzazione della voce, sempre soggetta a nuovi colori timbrici nella cavalcata ardimentosa su ottave che sembrano non finire mai. L’artista americano “cerca” la voce, nasce “ufficialmente” baritono ma, sulla scorta dei suoi illustri predecessori dei secoli Diciottesimo e Diciannovesimo, non si accontenta salendo sulla cattedra del tenore per impartire lezioni di virtuosismo spericolato e pericoloso senza dimenticare un fraseggio sempre espressivo e fluido, elegante e mai superfluo, supportato da una dizione cristallina.


Dove approdare dopo tutto questo peregrinare, che non ha risparmiato neppure i classici del repertorio internazionale Gounod e Bizet? A Verdi? No, a Wagner. La maturazione della voce maschile acuta che con Gilbert Duprez arriva alla definizione di “tenore di forza” non conduce Spyres al repertorio melodrammatico verdiano ma, potremmo dire, per non farsi mancare nulla, lo proietta all’ultima variazione tecnica e interpretativa che è quella del “tenore eroico” wagneriano. 


Spyres ha dato avvio pochi anni fa a un progetto di recital tematici (etichetta Erato) volti a dimostrare la complessità vocale del “tenore”, registro ricco di implicazioni musicologiche che risalgono ai tempi della polifonia e trovano nel Seicento una fioritura senza pari che proietterà questo registro maschile nel gotha della vocalità lirica. Messi in ombra dalla sfavillante stagione dei castrati, Spyres decide di rinverdire i fasti dei “tenori assoluti” che rivaleggiarono senza tema alcuna con i divi dell’acuto estremo. 


Lo sforzo del Nostro sta soprattutto nel voler dimostrare come la percezione dei registri vocali durante le epoche barocca, classicista e pre-romantica non era affatto assimilabile a quella contemporanea. Il registro di tenore non era da intendersi strettamente come il registro più acuto della voce maschile ma era semmai da accostare alla definizione  di “primo uomo” conteso più volte con i ruoli per castrati. I due album Contra-tenor e Baritenor sono la dimostrazione di come la voce di Spyres sia tecnicamente un potente e malleabile mezzo di espressione che riesce a salire verso la vertigine dell’acuto estremo (richiamando la sublime arte dei tenori della prima parte dell’Ottocento da Giovanni Battista Rubini ad Adolphe Nourrit) sia verso le profondità baritonali (alla stregua del grande rossiniano Andrea Nozzari).  


Spyres non inventa un repertorio dal nulla ma riporta arie eseguite da interpreti che, come lo stesso cantante americano scrive nelle argute note agli album, hanno saputo interpretare ruoli tenorili e baritonali andando a rinforzare una tradizione che, prima dell’avvento del melodramma ottocentesco, vedeva i tenori assestati su tessiture centrali (più baritonali) con punte acute grazie all’emissione di testa rinforzata con la tecnica del falsettone. Già nell’album Contra-tenor l’ascoltatore può comprendere come l’acuto e il grave fossero appannaggio di voci che, richiamando la polifonia medievale, potevano salire verso l’altus (contralto) o il bassus (basso). Spyres richiama dunque la funzione originaria del tenor, la voce polifonica che letteralmente teneva (tenor) note lunghe del cantus firmus contro cui si sviluppavano gli abbellimenti appannaggio del contratenor altus (contralto) e contratenor bassus (basso). Senza dimenticare il discantus, la parte più acuta che sarà invece la voce di soprano. 


Pierre de Jélyotte (haute-contre francese esperto nel repertorio di Lully e Rameau), Angelo Amorevoli (baritenore che inaugurò il virtuosismo estremo espresso nell’Arminio di Hasse), Gregorio Babbi (noto per il suo stile elegante ma anche virtuosistico), Anton Raaf (mozartiano par excellance e primo Idomeneo) sono alcuni nomi che Spyres cita nelle note all’album Contra-tenor per dimostrare come la vocalità dei grandi tenori del Settecento fosse anfibia, ovvero in grado di spaziare dall’acuto al grave con estrema facilità e come la voce di baritono non fosse ancora riconosciuta come tale ma come questa vocalità di mezzo fosse appannaggio del tenore virtuoso. Su tutti Jean-Blaise Martin (1768-1837): tenore grave che solo in seguito, nell’Ottocento, fu definito baritono acuto per poi coniare una particolare tipologia di voce definita “Baritono Martin”. Nelle altrettanto ricche note all’album Baritenor, Spyres cita altri grandi cantanti che hanno interpretato nel corso della loro carriera sia ruoli prettamente tenorili sia baritonali senza particolari difficoltà: Manuel Garcia, Almaviva tenorile nel Barbiere rossiniano ma anche Almaviva baritonale nelle Nozze mozartiane, il baritenore Otello rossiniano e il più grave Don Giovanni, così come Mécene Marié de l’Isle che nel 1840 creò l’impervio ruolo di Tonio nella donizettiana La fille du régiment salvo poi cantare nel Guillaume Tell sia la parte di Arnold sia dell’eroe svizzero.


L’ultimo album di Michael Spyres, In the shadows, funge da possibile approdo dopo un lungo viaggio tra la complessa vocalità tenorile che, nell’ultimo cd, giunge all’ombra di Richard Wagner. La sperimentazione vocale mostrata nei due precedenti album si rivolge ora ad una prospettiva maggiormente storica ed ermeneutica focalizzata su quella timbrica tenorile che in Wagner si presenterà sotto le sembianze dell’Heldentenor. Il percorso di questo nuovo disco è dedicato a una interessante retrospettiva fatta di arie tratte da opere che hanno costituito il coté culturale ed estetico di Wagner. In the Shadows (Erato) è un recital che contiene arie di Méhul, Meyerbeer, Auber, Rossini, Beethoven (Fidelio), Spontini, Weber, Marschner e Wagner (scritto in rosso sulla copertina per rammentare l’ideale obiettivo del progetto).  


Solo per citare un esempio: non solo Norma fu apprezzata e diretta a Riga dallo stesso Wagner ma anche lo stesso Joseph di Etienne Méhul, un'opera oggi dimenticata, fu proposta dal giovane Kapellmeister al pubblico lettone. Spyres legge queste incursioni tra il repertorio francese, tedesco e italiano dei primi decenni del Diciannovesimo secolo come la palestra per la vocalità tenorile che si stava per sublimare nei personaggi eroici di Wagner, senza per altro inventare nulla ma seguendo una linea di ricerca che affonda le radici nella nascita stessa dell’Heldentenor


Spyres non interpreta esclusivamente arie di opere conosciute o dirette da Wagner ma anche lavori come la rossiniana Elisabetta Regina d'Inghilterra  ormai fuori repertorio negli anni in cui il tedesco si affacciava alla ribalta, che aiutano l'ascoltatore a conoscere il côté culturale e musicale degli anni Quaranta dell'Ottocento durante i quali Wagner esperisce l'ambiente musicale parigino e scrive le sue prime opere. La scelta dell’aria di Leicester è giustificata dalle note scritte dallo stesso tenore per introdurre la seguente aria di Adriano de Il crociato in Egitto di Meyerbeer. L’eroe rossiniano è visto come un esempio proto-romantico di tenore eroico che con Andrea Nozzari nei panni di Leicester darà avvio alla stagione rossiniana napoletana che sarà fonte di ispirazione per il giovane Meyerbeer che in Italia raggiungerà la fama nel 1824 proprio con Il crociato alla Fenice di Venezia. L’aria scritta per il tenore bresciano Gaetano Crivelli, creatore del ruolo di Adriano e che Spyres interpreta con l’aria Suona funerea, contribuisce a contestualizzare ulteriormente il panorama culturale e canoro che si stava preparando all’arrivo sulle scene dell’Heldentenor wagneriano: meno virtuosismi baroccheggianti, colore brunito con discese nel registro baritonale ma con acuto facile, capacità declamatoria espressiva del testo poetico che in Wagner si farà sempre più elemento narrativo e scandaglio psicologico. 


Ma attenzione, all’ombra di Wagner non poteva mancare la cavatina di Pollione da quella Norma che il compositore tedesco tanto apprezzò per la forza tragica espressa da Bellini, ma anche la solennità dei personaggi spontiniani non solo della Vestale ma anche della tedesca Agnes von Hohenstaufen, uno dei possibili preludi al Rienzi, o la Francia degli esordi del tanto vituperato (ma studiato da Wagner per Rienzi) grand-opéra.  


Il percorso di Spyres appare ad un primo sguardo spiazzante: non solo l’album In the Shadows ma anche i due dischi precedentemente citati presentano la varietà impressionante del repertorio tenorile toccato dal tenore americano che approda solo nell’ultimo disco a Wagner, sebbene nell’album Baritenor siano stati cantati autori seguenti cronologicamente l’età wagneriana. Eppure, secondo una prospettiva che sembra leggere la storia come un complesso intreccio di fiumi carsici che si rivelano negli snodi cruciali e decisivi per indicare le sorti future ma anche per illuminare retrospettivamente i vichiani corsi e ricorsi storici, il fatto che Spyres giunga ora a Wagner dopo lungo peregrinare (indietro e avanti nel tempo) è la riprova ulteriore che il compositore tedesco non abbia riscritto il Dramma in musica dal nulla ma che in lui l’eredità passata abbia effettivamente lasciato un precipitato di senso, un distillato semantico dai molteplici aspetti che nel futuro continuerà a rilucere. Uno di questi è certamente stato il modo nuovo di trattare le voci. 



Joseph Tichatschek


Heldentenor, è questa la figura tenorile che esce dalle ombre interpretate da Spyres. Un tenore eroico così definito dallo stesso Wagner in riferimento a Joseph Tichatschek (1807-1886), cantante boemo che creerà i ruoli di Rienzi e Tannhäuser, apprezzato anche come Florestan nel Fidelio, nel weberiano Max del Freischütz ma anche in diversi ruoli del grand-opéra meyerbeeriano. Come Spyres, è importantissimo evidenziarlo, Tichatschek compie un percorso che vanta basi belcantistiche! Non sembrerebbe possibile, eppure il maestro del boemo fu nientemeno che Giuseppe Ciccimarra, primo interprete, tra le altre prove, di Iago nell’Otello rossiniano o Goffredo nell’Armida del pesarese. Terminata la carriera, il tenore italiano svolse l’attività di insegnamento a Vienna e tra i suoli allievi si annovera proprio Tichatschek che sia Berlioz, che lo ascoltò a Dresda nel 1843 nel suo Requiem, quanto Wagner definiranno “eroico”.  A proposito di Wagner, il tedesco descrisse così il cantante boemo impegnato nella preparazione della prima di Rienzi a Dresda del 20 ottobre 1842: “Nemmeno per un momento il fondo oscuro e demoniaco della natura di Rienzi, che io inequivocabilmente avevo messo in rilievo nei punti decisivi dell'azione, aveva distolto Tichatschek dall’accentuare il carattere baldanzoso e giubilante della sua prestazione di tenore eroico” (Richard Wagner, La mia vita, a cura di M. Mila, 2 voll., Utet, Torino 1953, vol. 1, p. 318). 


Questa notizia che lega il belcanto italiano di Ciccimarra al primo Heldentenor sembra davvero la chiusura del cerchio del progetto di Spyres che giunge a Wagner lasciando all’ascoltatore una prova maiuscola anche in un titolo dimenticato del tedesco ma significativo per fissare l’ultimo tassello prima delle grandi scene di Rienzi e Lohengrin. L’aria di Arindal da Die Feen, Wo find ich dich, wo wird mir Trost?,  è presentata come eredità direttamente acquisita dal romanticismo weberiano del Freischütz o del dimenticato Hans Heiling di Heinrich Marschner che ha ispirato Wagner anche nella composizione stessa dello spartito della Valchiria e nello specifico per quanto concerne, con le dovute differenze, il Grundthema dell’apparizione di Brünnhilde a Siegmund. 


In definitiva, il percorso di Spyres entra nel novero di un vero e proprio viaggio ideale di formazione per il registro vocale tenorile: una voce che ha dovuto affrontare la complessa quanto sfolgorante stagione degli evirati cantori, affermare un timbro dedito all’acuto ma anche al grave e brunito suono baritonale, all’impervio esercizio della coloratura quanto all’espressivo ma non meno impegnativo canto declamato, fino all’eroica esigenza del dramma wagneriano (per non citare la stagione verdiana e oltre qui non attraversata). La voce presentata da Spyres diventa dunque un mezzo per compiere un viaggio nel tempo toccando con mano (e con orecchio) le molteplici possibilità musicali offerte alla voce di tenore. Ora possiamo dunque dirlo: tenore non è semplicemente il registro più acuto della voce maschile ma è molto, molto di più.

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